venerdì 26 ottobre 2012

SERENDIPITA'

Si tratta di un neologismo (quindi nuovo) che però nasce da una novella molto antica. È una favoletta persiana, semplice ed ottimista, al limite della stupidità, che illustra come si possano ottenere buoni risultati anche con pochi mezzi, purché vi sia la buona volontà di farlo. In realtà, la serendipìa (o serendipità) è un termine (che ci deriva dall'Inglese 'serendipity') pieno di contraddizioni, perché contiene in sé la capacità di ottenere risultati utili non voluti, mentre si è alla ricerca di qualche cosa d’altro. Un finale fortunato, che conclude una vicenda inizialmente sfortunata, al di là delle capacità dell'interessato.


Tutto cominciò con l’antica storiella persiana dei tre signori di Serendip (che qualcuno identifica con l’attuale Sri-Lanka).
Erano tre fratelli, figli dell’anziano signore Giaffer di Serendip, il quale si rendeva conto di come i suoi figli avessero tutto, meno l’esperienza pratica del mondo e della vita.
Decise pertanto di mandarli in un viaggio, che li arricchisse d’esperienze umane. I tre si misero in viaggio e presto incontrarono un uomo che aveva subito un furto di un cammello…
Essi gli dissero di sapere di quale cammello si trattasse, perché ne avevano visto ed identificato le tracce. E forse di sapere dove si trovasse.
Era – affermarono – un cammello cieco da un occhio, mancante di un dente e zoppo.
Lo avevano dedotto dal fatto che – lungo il loro percorso – avevano visto l’erba brucata soltanto su di un lato della strada (avevo avvertito che è al limite della stupidità), l’erba non appariva brucata in modo uniforme, proprio come se all’animale mancasse un dente e le tracce lasciate sulla sabbia lasciavano desumere la zoppìa.
Il fatto che sapessero tanti dettagli li rese subito sospetti e li condusse alla prigione per furto di cammello, nell’incredulità totale della gente. In attesa della pena di morte.
In seguito, rinvenuto il cammello da un altro cammelliere, la loro innocenza viene riconosciuta ed i tre vengono acclamati per i tre validi e bravi giovano che sono: la storia finisce bene, illustrando come un pizzico di fortuna, ma anche lo spirito acuto, la capacità d’osservazione e l’arguzia siano la ricetta giusta perché le cose vadano a buon fine, dopo che si sono magari anche molto complicate.

Fu pubblicata in Italia da una stamperia di Venezia, nel 1550, tradotta dal persiano da un certo Christoforo Armeno (non sappiamo se Armeno fosse il nome o la provenienza), Editore un certo Michele Tramezzino e col nome di “Peregrinaggio di tre giouani figlioli del re di Serendippo”.

Horace Walpole, IV conte di Orford  (l’autore del primo romanzo gotico “Il Castello di Otranto” – 1764) lesse la favoletta persiana e l’apprezzò a tal punto da coniare nel 1754 il neologismo inglese “serendipiy”, per indicare il fortunoso (e fortunato) raggiungimento dei propri scopi dopo complicate peripezie e fatti inaspettati. In realtà, raccontava in una lettera ad un amico come egli fosse riuscito per caso ad identificare chi fosse il soggetto di un ritratto: usò il termine serendipìa per la prima volta e fu costretto a citare “la sciocca favola persiana”, per spiegarlo.
Più recentemente il medico famoso Aldous Huxley applicò il termine alla medicina, indicando con esso “il raggiungimento fortunato di un grande traguardo della ricerca, mentre si studia per conseguirne un altro”. In realtà, egli descrive anche un percorso di ricerca all’inverso, che cerca di dedurre le cause dei fenomeni osservandone gli effetti e formulando diverse credibili ipotesi per poi confrontarle e discuterle.
Il detto è stato poi umoristicamente popolarizzato come: “trovare la figlia del contadino, mentre si cerca un ago in un pagliaio” (J.H. Comroe).

È vero che la maggior parte della storia dell’uomo è consistita in una serie infinita di tentativi ed errori. E, in tale incessante processo è accaduto spesso di scoprire una cosa non cercata e imprevista, mentre se ne stava in realtà cercando un’altra.

Ecco solo qualche brevissimo esempio di “conoscenza accidentale”:

- Pavlov, scoprì i riflessi condizionati, mentre in realtà stava studiando la salivazione delle ghiandole salivari del cane.
- Colombo scoprì l’America, cercando – in realtà – le Indie Orientali.

Ma moltissime altre cose (il benzene, la penicillina, la dinamite, la colla debole riutilizzabile dei biglietti Post-it) sono frutto di serendipità.

Ecco, quindi, perché questa parola mi piace:
è vecchia e nuova, insieme.
Brutta (qualcuno la detesta con forza) e buffa, ma piena di buone connotazioni, positive ed ottimiste e certamente non volgare.
Semplice, ma piena di complicate implicazioni.
Diretta, ma ineluttabilmente contraddittoria.
Insomma, controversa: poco nota, in fondo, ma persino troppo usata e talvolta anche a sproposito.

mercoledì 24 ottobre 2012

Il colore rosso

Caro Pasuco:
Il tema di oggi riguarda sia la vista che il gusto e penso che in parte ti susciterà forse anche ribrezzo, ma alla fine, credo, sarai contento di sapere quello che ho in serbo per te da riferirti.
Prima ti faccio una o tre  domande: hai presente quelle caramelline (o chewing gum) che acquisti ogni tanto, magari per l’alito, oppure perché proprio ti piacciono, e che possiedono quel delicato colore rosa o malva, oppure quel deciso colore scarlatto o un aggressivo vermiglione o addirittura carminio?
Hai presente quell’aperitivo rosso brillante che consumi durante la “happy hour” al bar dell’ufficio, oppure quello sotto casa? Hai mai assaggiato – o fatto tu stesso – quelle deliziose tartine con il succedaneo del caviale rosso (uova di capelin) dalla seducente trasparenza rosso-arancio?
Hai presente quel fard/rossetto/ombretto che ti è tanto caro per l’effetto veramente fantastico che fa sul tuo viso?
Benissimo, proprio quello: Si chiama Carminio E 120 (ed E124), ed è un colorante naturale, permesso quindi anche nell’industria dolciaria, per la colorazione delle bibite, oltre che nei cosmetici per contatto cutaneo, in alcuni inchiostri ed in tintoria. Per la completezza, sarebbe obbligatoria una descrizione di alcune particolarità (non tutte, però!) del prodotto, sull’etichetta.
Una delle cose che si devono dichiarare, ad esempio, è che il prodotto può “influire negativamente sullo stato di attenzione dei bambini” (sindrome del bambino iperattivo). Inoltre, il consumo giornaliero deve essere limitato a 0,7 mg/kg di peso corporeo (precedentemente era permesso un consumo fino a 4 mg/kg). La Food and Drug Administration ha reso pubblici alcuni casi di allergia a questo colorante, per cui esso rappresenta un prodotto non raccomandato nei soggetti affetti da asma allergico o diatesi allergica. Le norme alimentari ebraiche (Kosherut) ne bandiscono drasticamente  il consumo, elencandolo tra gli alimenti proibiti.
A questo punto, Pasuco, tu mi chiederai: “E a me che me ne importa, visto che non sono un bambino da molti anni e non sono mai stato asmatico, né Ebreo?”.
Che cosa c’è di male? Proprio nulla, in fondo, salvo forse la tua ignoranza di alcuni piccoli dettagli. Ulteriori, poco importanti dettagli, ma che è bene sapere, per potere esercitare appieno il proprio libero arbitrio.
Per esempio: che cosa è, esattamente, il colorante Carminio E120/E124? Dove viene prodotto? Da che cosa si ricava?
Circa la sede di produzione: il colorante viene prodotto in Perù (85% della produzione mondiale) e la restante parte è prodotta nelle Canarie ed in Spagna meridionale, guarda un po’!
Che cosa è: l’E120 è un estratto purificato della femmina di un insetto, la Cocciniglia (Dactylopius Coccus): la quantità di colorante è massima nelle femmine gravide, poco prima che depongano le uova. Per produrre un kg di colorante occorrono circa 100.000 insetti, uno più, uno meno. Destinate alla raccolta dell’insetto sono in genere le donne, che le staccano con sottili lamine metalliche (le ‘piantagioni’ si trovano in genere su piante di fico d’india). Si fanno seccare gli insetti e si tritura il carapace (il ‘guscio’ esterno), estraendone con acqua calda il colorante. È possibile ridurre la potenziale allergenicità con estrazione enzimatica (idrolisi) delle proteine, am il prodotto - dopo - costa di più...
D’altro canto la Cocciniglia produce il proprio secreto denso ed appiccicoso, l' acido carminico e se ne ricopre esternamente, proprio come arma di difesa contro i predatori: anche in natura, quindi, esso non è originariamente inteso come una specialità culinaria. Le cocciniglie sono comunemente note come insetti nocivi in relazione alla gravità dei danni, sia diretti che indiretti, che arrecano a numerose essenze vegetali di interesse agrario e forestale in vaste aree del globo. In realtà, alcune delle oltre 6.000 specie già conosciute (Kosztarab, 1987) vengono utilizzate dall'uomo, sin dall'antichità, a proprio beneficio, talora anche a scopo alimentare. Basti ricordare, ad esempio, che la manna, citata nella Bibbia come unica fonte di sostentamento del popolo ebraico durante l'esodo attraverso il deserto, era presumibilmente composta dagli escrementi zuccherini prodotti dagli Pseudococcidi Trabutina mannipara (Ehrenburg) e Naiacoccus serpentinus Green infeudati alle tamerici nel deserto del Sinai (Brown, 1975), o che il Cerococcide Cerococcus querqus Comstock veniva ampiamente utilizzato dagli Indiani d'America come precursore del chewing-gum (Kosztarab, 1987).
Altre entità sono ancora oggi impiegate in procedimenti industriali per la produzione di lacca [Kerria lacca (Kerr)] (Kosztarab, 1987), cera per candele [Ericeus pela (Chavannes)] (Ben-Dov, 1993) e coloranti; delle numerose specie di cocciniglie da cui questi ultimi prodotti possono essere ricavati, Dactylopius coccus (Costa) è, probabilmente, quella che riveste maggiore interesse economico vista l'importanza del suo estratto, il carminio.
Tutto qui, Pasuco: ora hai gli elementi per scegliere liberamente.
In estremo Oriente, in Australia  ed in Sud America mangiano tradizionalmente vari insetti, crudi o cotti e non se ne lamentano: anzi, in alcuni casi ne parlano come di ghiottonerie. Non ci sarebbe alcunché di strano che anche noi occidentali istruiti ed evoluti in fondo ci cibassimo di un estratto di insetto.
Meglio, però, farlo dopo esserne stati bene informati, credo, piuttosto che farlo senza saperlo. E - comunque - sempre meglio la Cocciniglia, piuttosto che l'ossido di piombo (Minio) estremamente tossico, che si usava in precedenza!

Corrotti nella Savana

In questo Bel Paese tutto diventa credibile: l’inefficienza è così totale (talvolta volutamente), che il nostro tasso di stallo nella crescita eguaglia quello  di molte nazioni africane. L’inefficienza è così grande che diventa persino credibile quello che la Repubblica ha perfidamente adombrato qualche tempo fa: ai tempi del cosiddetto “Scandalo Lockheed” (uno dei tanti, questo risalente agli anni ’70, in cui furono implicati in qualche modo Gui e Tanassi, ma anche Colombo, Rumor e Leone, mentre per altri furono solo ventilati sospetti. Di fatto due ‘mazzette’ su tre furono identificate: quindi non tutti i corrotti, anche se esisteva certamente un Corruttore, che era la Lockheed, nel suo tentativo riuscito di piazzare i suoi aerei C-130. Alla fine persino il Presidente Leone dovette dimettersi, vista l’entità dello scandalo),  sembra credibile che persino il nome in codice del maggiore indiziato (‘Antelope Cobbler’, mai scoperto con certezza) sarebbe stato trascritto in modo errato dagli Italiani.  Antelope Cobbler si dovrebbe pronunciare “àntilop cabbler” ed è sempre stato tradotto come  ”antilope ciabattina” (che è discretamente differente dal più corretto “antilope fabbricante di scarpe” ed in ogni caso non possiede alcun senso). La Repubblica, in un articolo del 18 Luglio 2012, ha insinuato che invece della trascrizione usata comunemente in Italia “Cobbler”, il termine originario dei Servizi Segreti (italiani?) fosse in realtà “Gobbler” (nelle conversazioni riservate dei servizi  segreti americani?). Ora, gobble significa due cose: 1) colui che fa il verso del tacchino ( che la lingua Inglese rende con: “gobble-gobble”, per cui il gobbler è un tacchino, oppure un essere umano nell’atto d’imitare un tacchino); 2) qualcuno che ingoia voracemente (dal verbo ‘to gobble’, ingoiare famelicamente, rapidamente, a grossi bocconi). Maliziosamente – insieme al giornalista della Repubblica –  ci si potrebbe  a questo punto domandare quale sia l’animale che più frequentemente aggredisce le antilopi nel loro habitat naturale: e non si tratta di una lista molto lunga, che non comprende certo il Colombo …
Ma a parte gli aneddoti più o meno credibili circa l’inefficienza: egualmente, il livello della corruzione è pari a quella del Ghana. Talvolta, (meraviglioso!) le grandi imprese sociali sono compiute proprio a mezzo della corruzione, attraverso  vie – quindi – non propriamente legali.  Se per il Ghana possiamo anche chiudere un occhio (la Cultura vi è giunta un po’ tardi e i poveri miserabili devono ancora crescere), altrettanto non si può fare per il nostro Paese, che è stata fonte di Cultura e riconosciuta Culla del Diritto (anche se adesso sembra un po’ più simile ad una Cloaca che ad una Culla). Queste notizie sono - purtroppo -  di dominio pubblico internazionale e certamente non invogliano gli investitori stranieri.
I nostri Amministratori sono profumatamente pagati con emolumenti scandalosamente alti (più alti perfino di quelli dei paesi ricchi, cosa che il nostro paese certamente non è), proprio perché essi non siano costretti ad un basso tenore di vita che li renda vulnerabili alla corruzione. Eppure i nostri amministratori – a tutti i livelli – sono sempre stati tradizionalmente di salute estremamente cagionevole e per nulla resistenti alle lusinghe delle prebende, di qualsiasi tipo esse fossero e da qualunque mano esse fossero profferte.
Entrare nell’amministrazione Pubblica – quindi – oltre al ‘lavoro sicuro’, che è sempre stato l’obiettivo del bancario più quadrato, offre anche qualche cosa di più: la certezza della ricchezza oscena, da satrapo orientale, oltre che il piacere esclusivo – per alcuni superiore persino al sesso – del potere sugli altri e del comando.
Il bel Paese di conseguenza è diventato il Paese della pletora dei governanti: i numeri degli Amministratori sono sempre troppo alti relativamente al fabbisogno (prima si lottizzava, secondo le ‘quote’ dell’elettorato: quattro  bianchi, due verdi, tre rossi, uno misto e finalmente uno bravo che sappia fare e faccia il lavoro). Il risultato è lo stesso di un esercito in cui ci sono più generali che soldati: tutte le guerre si perdono.
In più, il livello di litigiosità (civile e penale) è salito al di sopra d’ogni livello accettabile, rendendo impossibile la vita a molti professionisti e costringendoli a 'misure precauzionali' che fanno salire enormemente le spese di ogni procedimento.
Perché?
Perché l’elettorato Italiano (spesso denominato 'la gente', o 'il popolo bue') è ancora stolidamente convinto che si debbano cambiare gli uomini, per avere risultati differenti da quelli ottenuti finora, per combattere sprechi, inefficienza, corruzione ed altre (numerose) ingiustizie sociali. Non gli è bastata l’esperienza plurigenerazionale di moltissimi anni di governi balneari, di ribaltoni, di avvicendamenti, di promesse mancate, di evidenti tradimenti (oltre a tutte le summenzionate e sottintese malversazioni e corruzioni) etc etc..
Fino dai tempi del Fronte dell’ Uomo Qualunque (Guglielmo Giannini) l’antipartitismo (che oggi chiamiamo “antipolitica”, semplicemente perché nessuno sa più parlare l’italiano) si è dato da fare presentandoci veri demagoghi come altrettanti Uomini Nuovi. E il procedimento seguito è sempre stato il medesimo: prima viene il Movimento, poi, apparentemente malvolentieri, il Partito.
E’ stato così, con i Radicali di Pannella, poi con la Lega di Bossi. Oggi con il Movimento 5 stelle di Grillo.
Senza tenere conto del fatto che Giannini era – con ogni probabilità – infinitamente più colto e preparato di tutti e tre.  Eppure, è fallito anche lui, miseramente, fino a ridurre l’espressione “qualunquista” ad un’offesa.Ci sono stati anche molti altri fenomeni – tutti italianissimi – di atteggiamenti populisti a modo loro, come l’ “Achillelaurismo” partenopeo (con lo scambio voto/spaghetti) e su tutti ha svettato la pretesa superiorità morale della sinistra antipolitica (Berlinguer e la sua “questione morale”).
Mani Pulite è stato uno dei massimi momenti di eccitazione del Popolo Sovrano antipartitocratico, che ha contribuito a decretare il successo della Lega , creduta senza macchia e senza paura e poi dimostratasi macchiatissima (per sé) e paurosissima (per noi).
Tutto questo non ci ha insegnato niente. Che cosa dovremmo apprendere?
Che non dobbiamo sostituire gli UOMINI. Dobbiamo – invece – modificare i METODI, in modo che anche un ladro pigro ed incapace (ammesso che non ce lo leviamo automaticamente di torno prima, CON NUOVE LEGGI APPOSITE), al governo debba comportarsi in modo onesto, efficace e circondarsi di commissioni capaci di agire responsabilmente e rapidamente (a nostro vantaggio).
Il politico al governo è un nostro dipendente: se non ci soddisfa e se è solo un pelandandrone assenteista, deve essere AUTOMATICAMENTE licenziato senza pensione. Nessuno penserebbe mai di farsi raccomandare dalla propria donna di servizio. E se non vuole lavare il lampadario di cristallo (troppa responsabilità, una questione morale: lasciamo la decisione al Referendum!) lo facciamo lavare a SUE SPESE da qualcun altro: scommettiamo che i Referendum scomparirebbero?
Insomma, viva il pensiero antipartitico, ma quello valido ed efficace: dobbiamo fare passare un METODO DI GOVERNO così tanto a prova di fannullone e ladro, che persino il re dei ladri fannulloni, eletto dal popolo bue, non possa allungare le mani sulla marmellata, né esimersi dal lavorare...

Ci riusciremo mai?

domenica 21 ottobre 2012

Più Komòdo sul divano




Tutti sanno che la più grande lucertola oggi vivente al mondo è il Varano (o Drago) di Komodo: può raggiungere i 70 chili per una lunghezza di tre metri. Ne restano poche migliaia di esemplari nella zona Indonesiana. Si cibano di mammiferi, rettili, uccelli, ma sono stati segnalati casi d’attacchi ad esseri umani.

La notizia, recente, è che il Varano di Komodo possiede un veleno potente, anticoagulante, che manda in shock le sue vittime, secondo i ricercatori australiani.

Si pensava, fino ad oggi, che alcuni batteri del cavo orale fossero responsabili delle gravi condizioni delle vittime di un morso di varano e che le alte temperatura aiutassero la loro riproduzione nel sangue (e molti documentari ancora ripetono questa fola), creando uno stato infettivo grave ed acuto, che debilitava le vittime. Infatti, dopo avere morso, il varano semplicemente attende la morte della propria vittima, vigilando presso di essa.

Ma uno studio con risonanza magnetica ha dimostrato che il varano di Comodo possiede ghiandole velenifere vere e proprie e che iniettano un veleno che abbassa la pressione  arteriosa, riduce il flusso sanguigno ed induce uno stato di shock.

Inoltre, il capo ricercatore del team australiano, Bryan Fry, asserisce che ad uno studio computerizzato tridimensionale, la meccanica del morso del varano può essere paragonato a quello del coccodrillo marino australiano oppure a quello di uno squalo o quello di una tigre con i denti a sciabola, per il meccanismo “mordi e strappa”, che produce profonde e gravi ferite.

E’ inoltre stato studiato l’effetto biologico del veleno – estratto dalle ghiandole asportate chirurgicamente da un varano malato terminale dello zoo di Singapore – che contiene una potente tossina anticoagulante, responsabile nei mammiferi di crampi addominali violenti, ipotermia e crollo della pressione arteriosa.

Essa debilita grandemente la vittima, per la perdita di sangue, il dolore ed il grave malessere generale, rendendola incapace di fuggire.

Il quadro di shock emorragico è più che compatibile con la “strana quiete” osservata regolarmente negli animali morsi dal varano di Komòdo ed il rapido insorgere in essi dello shock, mentre non è affatto compatibile con uno shock infettivo, che è di più lenta insorgenza anche nei climi caldi.

Si sta più Komodi sul divano, appunto.

sabato 20 ottobre 2012

Mito e Malattia

UN DIO STORPIO E DEFORME
Perché mai Efesto (Vulcano) era deforme e brutto, tanto che la stessa madre Hera (Giunone) lo scaraventò via dall’Olimpo, relegandolo in un vulcano (l'Etna), che divenne la sua fucina? Perché non era bello e perfetto, Bombastico ed eccessivo, nei pregi e nei difetti anche del carattere, come tutti gli altri Dei dell'Olimpo? Perché era "quasi normale", tanto da distinguersi, da apparire come inferiore rispetto agli altri Dei?

Quale malata fantasia religiosa – ci si è sempre chiesti – può produrre un Dio sgraziato e storpio, che  conduce una vita rozza e possiede un lavoro tanto faticoso, certamente pericoloso e tanto umile, in esilio lontano dal Paradiso?
Gli antichi erano così 'poco svegli' da non comprendere che un mito deve essere creato almeno in qualche modo superiore all’uomo, figurarsi quindi un Dio? 

Ebbene, un motivo c’è. Non pretendo che sia l'unico vero, né che sia totalmente sicuro, Pasuco, ma è un motivo ragionato e molto credibile e certamente anche affascinante...

Il mito si è andato a formare nell’Età del Bronzo, proprio quando il fabbro (professione che fu una filiazione di quella del vasaio, probabilmente*) con la sua attività, diventava man mano sempre più importante per la propria comunità, a fronte della sempre crescente richiesta di strumenti di metallo,  sia per la vita quotidiana, sia per la difesa armata. 
A differenza della pietra (selce) e del vetro vulcanico (ossidiana), che possono essere riaffilate solo un limitato numero di volte (e che si ottundono persino durante il trasporto, se non 'imballate' accuratamente, più probabilmente con pelli animali), la lega del bronzo è virtualmente immortale e gli strumenti possono essere rifusi e ridati a nuova vita, proprio e unicamente dal fabbro.
In più, in bronzo possono essere realizzati pugnali e spade, prima quasi impensabili con la pietra: strumenti che cambieranno i destini dell’uomo e modificheranno le tattiche di guerra per sempre.
Poco importa che il vetro vulcanico e persino la selce offrano strumenti più taglienti e più affilati: alla lunga, nelle sue varie forme, la lega del bronzo (più dura del semplice rame martellato), bellissima quasi quanto l’oro (non ci si deve lasciare ingannare dall’aspetto ossidato verdastro dei reperti archeologici!), si affermerà ovunque. Il vetro sarà comunque usato ancora a lungo (come in Sardegna l'ossidiana, o in sala operatoria le lame vitree per i microinterventi oculistici, ad esempio).

Il fabbro divenne così un personaggio essenziale, estremamente importante in ogni comunità, tanto da essere – quasi immancabilmente – sepolto con l’onore degli strumenti del suo lavoro unico ed importantissimo.
Fu eroicizzato, quindi divinizzato. 

Ma – nella prima parte dell’Età del Bronzo – si lavorava prevalentemente il rame arsenicale (o bronzo d'arsenico, perché - di fatto - era già una lega e non un metallo puro), più facile a trovarsi perché più superficiale. Il fabbro, quindi, immancabilmente respirava i vapori d’arsenico e s’ammalava di quell’avvelenamento che oggi si chiama arseniosi cronica (da non confondersi con l'arseniosi acuta, altro capitolo interessantissimo, molto di moda nel rinascimento Italiano e tornato in auge tra gli Impressionisti).

I sintomi sono dovuti ad un blocco enzimatico della sostanza bianca e grigia del sistema nervoso, che (tra molti altri sintomi, tra cui meglio osservabili sono naturalmente quelli cutanei) conduce a sordità, zoppia e talvolta ad amputazione di parte degli arti… 

Ecco, con ogni probabilità, perché Efesto nasce come un Dio appunto storpio e deforme, essendo egli la trasposizione nel mondo divino di un fabbro terreno così come lo si conosceva bene: già gli antichi avevano saputo riconoscere in quei sintomi la malattia professionale del fabbro!

E – ancora più stupefacente, ma del tutto credibile – avevano trovato la cura più adatta, nella prevenzione.

Ecco quindi spiegato un altro piccolo mistero: perché mai, verso la metà dell’Età del Bronzo, in tutto il Mediterraneo ci si sia orientati verso una lega – il 'bronzo di stagno' – molto più difficile a realizzarsi che non quella arsenicale, per via della rarità dello stagno.

Anche in questo caso ci si era a lungo interrogati circa perché mai gli uomini del Bronzo sembrassero così stupidi, prima di accorgersi (noi) che (loro) – faticosamente, certo, ma ineluttabilmente – imparavano i primi passi della metallurgia, cadevano, come un neonato che impari a camminare, ma si rialzavano testardi e riprovavano … E' il classico procedimento definito per  'tentativo ed errore' che l'umanità ha adottato in tutta la propria Storia.

Ecco, questo del Mito Divino è uno dei modi dell’uomo di raccontare la propria storia. E’ un metodo antico, semplice, che ricorre alla creazione del mito altisonante ed alla simbologia della metafora per raccontare i propri tentativi andati a male e le correzioni apposte, a differenza di quello che si farebbe adesso, pubblicando un lavoro scientifico, descrivendo Scopi, Materiali e Metodi  ed elencando al termine le Conclusioni dedotte dopo averne ricontrollato la validità nella Discussione.

Non ti convince, Pasuco? Pazienza, se no. Ma io lo trovo credibile, oltre che affascinante. Per sicurezza, ti dò qualche altra info in nota°.

Che poi Efesto sia rappresentato come un uomo (perché il lavoro davanti ad un antica fornace era molto pesante e anche poco sano, esponendo a polmoniti e pleuriti, a parte l'arseniosi), non significa necessariamente che non ci siano state - nell'antichità - donne fabbro, proprio come ci sono anche adesso. Proprio recentemente ci si interroga su una tomba in cui è inumata una donna, con un corredo di strumenti tipici del fabbro...

In ogni caso, l’uomo dovrebbe conoscersi meglio, io credo, e ricordare la propria storia passata: chi non ha memoria dei propri errori, si sa, è destinato a ripeterli.
E quante volte ci siamo avvelenati da noi stessi, anche in tempi recenti, esattamente come il fabbro dell’Età del Bronzo?

* Il vasaio usava il forno. Probabilmente, sperimentando nuove possibilità di colori, mise a 'cuocere' campioni conteneti metalli ed osservò la prima fusione. Il forno del vasaio possiede tutti gli elementi (alte temperature, mancanza di ossigeno etc) per produrre la fusione dei metalli. La nozione comune di una prima fusione accidentale in un fuoco da campo è da considerarsi favolistica, in quanto non raggiunge mai le medesime condizioni. 


° Tieni presente, Pasuco, che i sintomi dell'arseniosi cronica descritta oggi non sono più quelli che erano osservabili allora: oggi infatti si tratta prevalentemente di ingestione (più spesso con l'acqua, più di rado con gli alimenti), talvolta di assorbimento transcutaneo (come accadde per il 'Liquido di Fowler'). Allora, invece, si trattava di respirazione diretta dell'arsenico, il che fa una discretamente grande differenza. 

I. Chronic Adverse Effects

    After a few years of continued low level of arsenic exposure, many skin ailments appear, i.e. Hypopigmentation (white spots), Hyperpigmentation (dark spots), collectively called Melanosis by some physicians and dyspigmentaion by others.  Also keratosis
(break up of the skin on hands and feet).   We have assembled a collection of photographs of patients with typical symptoms.   We have plots of incidence of these ailments versus integrated dose and versus maximum dose for three villages in Inner MongoliaThese suggest lineraity of incidence with dose above a possible threshold at 75 ppb in the water,  with incidence rising to approach 100%  near  1000 ppb.  In developed countries dyspigmentation and even keratosises do not always lead to death.  But in Bangladesh (as in ancient times), a farmer with keratoses on his feet may continue to walk upon them and develop gangrene.  Then his foot must be amputated and he can no longer work and feed his family.    So far several thousand cases of melanosis have been identified in Bangladesh but it is important to note that as of July 2005 only about 30% of the villages have been surveyed. More information from greater number of surveys may show a much greater number of  people affected.

    After a latency of about 10 years, skin cancers appear. After a latency of 20 - 30 years, internal cancers - particularly bladder and lung appear.These have all been seen in Taiwan and in Chile.  The data from Taiwan and Chile suggest that biggest risk of death is from internal cancers. The data from Chile suggests that 30 years after a 5-year exposure of drinking water at a concentration of 0.5 ppm (and reduced exposure thereafter) will result in a cancer risk of 10%. No one knows how to extrapolate to the lower exposure of 0.05 ppm (50 ppb or 50 micrograms per liter), but if one takes a "default" linear response,   the risk is 1%.   At the WHO guideline of 10 ppb, to be effective in the USA about 2006, the risk is still 0.2%.


     Arsenic absorption is also believed to lead to vascular disease.  

Chemistry

When heated in air, arsenic oxidizes to arsenic trioxide; the fumes from this reaction have an odor resembling garlic. This odor can be detected on striking arsenide minerals such as arsenopyrite with a hammer. Arsenic (and some arsenic compounds) sublimes upon heating at atmospheric pressure, converting directly to a gaseous form without an intervening liquid state at 887 K (614 °C). The triple point is 3.63 MPa and 1,090 K (820 °C). Arsenic makes arsenic acid with concentrated nitric acid, arsenious acid with dilute nitric acid, and arsenic trioxide with concentrated sulfuric acid.

giovedì 18 ottobre 2012

NURAGHE NON CENSITO ?


Quanti erano i nuraghi? 

Molti si scervellano al riguardo, come se la Sardegna
dovesse iscriversi nel libro dei primati (nel senso di
"records", non nel senso di scimmie antropomorfe, 
anche se ti sembrerà strano, Pasuco!). Come se 
l'importanza della Civiltà Nuragica dovesse 
misurarsi quantitativamente e non 
qualitativamente...

Cioé: tanti più erano i nuraghi e tanto più grande 
dovette essere la Civiltà Nuragica!

E così c'è la caccia ai siti ed ai nuraghi ancora non
censiti, spesso con il pensiero sottinteso ed errato
che la densità dei nuraghi fosse uniforme in tutta
l'isola. 
Questo principio, antropologicamente ed 
orograficamente sbagliatissimo, porterebbe ad una
densità certamente elevatissima e assolutamente non
corrispondente a realtà. Già con un solo nuraghe per
chilometro quadrato si avrebbero 24.000 nuraghi!

Comunque, ecco il mio umile contributo...

Siamo all’ombra di un bosco di querce da sughero. Un posto interessante, sito al centro geometrico della Sardegna, presso Sorgono. Fa molto caldo: si sta appena bene all’ombra e se non ci fosse questo grande bosco ombroso, si soffrirebbe assai.
Il posto è accatastato come "Sa Tanca ‘e Don Luisu" ed oggi è noto perché vi sorge un buon Agriturismo, "Su Pranu", presso la stazione del trenino verde.
Battista, il proprietario, mi racconta di alcuni resti nuragici: non ho il tempo di vederli tutti, (sono sparsi su molti ettari) ma uno è proprio lì vicino. 
C’è una collinetta di aspetto "chiacchierato", che mi insospettisce subito: ci andiamo. 
Al culmine, troviamo 5-6 anelli di una costruzione che potrebbe sembrare anche soltanto una capanna nuragica, se non fosse per il fatto che tutta la collinetta possiede un’aria non del tutto naturale… 
 

E’ come se esistessero diversi piani, artificiali, costituenti una primitiva costruzione – ora crollata – che nel tempo si è ricoperta di foglie e di erba…

Si nota anche dalla foto sopra, quanto sia alta la collina, che almeno in parte sarà stata naturale…. 

Tutt’intorno, affiorano strutture di pietre allineate secono uno schema curvilineo, formanti cerchi che non sembrano affatto naturali.
 
  
Ci sono cresciuti sopra degli arbusti, cespugli e persino alberi, ma il disegno di base resta ben riconoscibile…


L’inclinazione del terreno guida lo sguardo sempre verso il punto più alto, che è la collinetta iniziale, messa in posizione dominante rispetto a tutto il resto…

 
 Forse, quindi, non si tratta di un piano terra, bensì proprio di un piano sopraelevato:


 

 

 Intorno, guardando bene, esistono molti altri mucchi di pietre che meriterebbeo una seconda occhiata, perché non sembrano esattamente casuali.

 
  Il bosco intorno è comunque un posto magico e suggestivo, che non è difficile immaginare abbia potuto colpire anche l’immaginazione degli adoratori di legni e di pietre, anche prima che queste querce fossero nate…


 

 

 

Tornerò, Battista: con un mio amico archeologo, per capire di più su che cosa sia stato il vero passato nuragico e prenuragico di Sa Tanca e Don Luisu…
Ma tornerò anche per assaggiare la capra in umido, la seada col miele di corbezzolo e quel moscato dolcissimo, che non avevo mai assaggiato prima… 
Con la consapevolezza che la grandezza del passato preistorico della Sardegna non si compra un tanto al chilo.

Suono, antico.


Caro Pasuco: ecco un po' di musica (antica) per le tue orecchie...

Lo strumento musicale più antico del mondo














La musica ha almeno 35.000 anni: un team di ricercatori tedeschi ha ritrovato lo strumento più antico del mondo.

L’uomo del Paleolitico amava la musica. E la sapeva anche suonare utilizzando strumenti a fiato non così tanto diversi da quelli di oggi. I ricercatori dell’Università di Tubinga (Germania) hanno recentemente ritrovato un flauto di 35.000 anni fa in una caverna nei pressi Vogelherd, nel sud est della Germania, che fu abitata dai primi uomini arrivati in Europa dall’Africa.
Lo strumento è stato ritrovato a pochi passi di distanza dalla più antica scultura femminile della storia il che dimostra che l'Arte figurativa, oltre a quella musicale, era già presente nel bagaglio umano.
 
Il flauto, quasi del tutto integro, è lungo 21,8 centimetri per 8 millimetri di diametro, ha cinque fori e un’ apertura a forma di V a una delle estremità, che probabilmente era quella utilizzata per soffiare l’aria all’interno. É stato ricavato dall’osso di un avvoltoio, cavo, come tutte le ossa degli uccelli. Secondo gli esperti, data la lunghezza media delle ossa di questo animale, il flauto avrebbe dovuto avere una lunghezza di circa 34 centimetri.
Secondo Nicholas Conard, responsabile del team che ha effettuato la scoperta, la musica ha avuto un ruolo fondamentale nella coesione sociale dell’uomo moderno e nella diffusione dei primi concetti di "cultura" e potrebbe aver contribuito in maniera determinante alla scomparsa dell’uomo di Neanderthal, che secondo le attuali conoscenze, non ha mai sviluppato alcuna attitudine musicale. (quest'ultima dichiarazione non è condivisa da tutti gli studiosi, secondo i quali un precedente strumento in osso di orso, rappresentato qui sotto, sarebbe stato prodotto in epoca neanderthaliana, pre uomo moderno).