sabato 16 febbraio 2013

Incisioni su pietra



Le ipotesi suggestive pubblicate dall’Università di Cambridge e quasi ignorate in Sardegna dall’Archeologia accademica.
di Giovanni Usai

Le enigmatiche incisioni che vengono illustrate in questo scritto non rappresentano un dato archeologico inedito. Già più di vent’anni fa Massimo Pittau, nel libro La Sardegna Nuragica segnalò le incisioni presenti nello stipite del corridoio d’ingresso del nuraghe Succuronis di Macomer. Il Pittau considerò le incisioni del Succuronis come un’iscrizione senza avanzare nessuna proposta di decifrazione del documento.
Più recentemente Isabella Paschina (2000), ha segnalato che incisioni simili a quelle del Succuronis sono presenti anche nei nuraghi Cuccuru Ladu, Suppiu, Ferulaghe, ‘e Mesu, Traina e nella tomba di Giganti Sas Giagas di Macomer e nel nuraghe Fiorosu di Sindia. Per questa studiosa le incisioni risalirebbero all’età nuragica.
Nuraghe Cuccuru Ladu, Macomer (NU)
Nuraghe Succoronis Macomer (NU)
Nuraghe Urassala, Scano Montiferro (NU)

Del mio interesse verso le enigmatiche incisioni sono “colpevoli” Pietro Ghiani e Franco Muroni che, mentre mi accompagnavano alla volta dei nuraghi del Marghine-Planargia (di cui stavo studiando l’orientamento, vedi Zedda 2004), mi hanno fatto toccare con mano l’entità di un fenomeno di “arte rupestre” che investiva i nuraghi attorno a Macomer. In quei sopraluoghi, oltre a farmi osservare le incisioni edite dalla Paschina, mi mostravano quelle presenti nei nuraghi Funtana Ide, Mura ‘e Bara, Tossilo, Tamuli di Macomer, del nuraghe Serras di Sindia, dei nuraghi Urassala, Nurtaddu, Badde Ona, Nuraccale di Scano Montiferro da loro scoperte (2002).
Da quel momento ho cercato di capire se quel fenomeno fosse circoscritto ai territori attorno a Macomer o se coinvolgeva anche altre aree.
Personalmente ho avuto modo di notare quelle presenti nel nuraghe Meringianu di Uras.
A queste si sono aggiunte quelle presenti nei nuraghi Lugherras e Santa Cristina di Paulilatino segnalate da Giovanna Mura.
Interessantissime quelle rupestri di Sa Perda Scritta a Perdaxius segnalate da Nicola Dessi e quelle di Cuccuru Corongiu a Genoni notate dal geologo Marco Mura.
A questa tipologia di incisioni si riconducono anche quelle di Funtana ‘e Amenta a Bonarcado, pubblicate da Giacobbe Manca (2001). Questo studioso le riferì (basandosi sul tipo di lavorazione della pietra) ad un orizzonte Neolitico o Calcolitico (Manca 2001) senza istituire nessuna associazione con quelle segnalate dal Pittau e dalla Paschina.
Per quanto riguarda l’interpretazione, Giacobbe Manca (2002) ipotizzò che le incisioni di Funtana ‘e Amenta rappresentassero delle vulve. Nella sua interpretazione ebbe una parte importante il fatto che la roccia su cui sono state incise si trova nei pressi di una sorgente.
Quelle presenti in un masso vicino al nuraghe Tamuli di Macomer, sono state interpretate da Gigi Sanna e Gianni Atzori come un’iscrizione (Sanna e Atzori 1999).
Sono rappresentazioni di vulve o iscrizioni? O altro? Non è questa la sede per entrare nel merito (ma escluderei che si tratti di una forma di scrittura), in quanto l’obiettivo di questo scritto non è quello di tentare sviscerare il significato che gli attribuiva chi le realizzò, ma di sollevare l’attenzione su un fenomeno culturale che non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita.
Alle difficoltà estreme che caratterizzano i percorsi intelletuali tesi a sviscerarne il significato, sono da aggiungersi pure quelle che incontrano i tentativi mirati a determinarne un’esatta collocazione culturale.
Attraverso la consultazione di manuali di arte preistorica, ho rilevato che le incisioni in oggetto hanno una fattura simile a quelle presenti in Liguria presso il riparo Mochi ai Balzi Rossi (Graziosi 1973, fig. 88), che Paolo Graziosi riferisce ad un orizzonte culturale epipaleolitico. Un dato che ci aiuta a constatare come le culture umane possono produrre, in modo indipendentemente, dei fenomeni artistici similari, anche senza alcun nesso spaziale o temporale.
Le caratteristiche dei contesti geografico-culturali in cui le incisioni “nuragiche” sono state finora riscontrate si possono suddivvidere in quattro categorie:
a) incisioni rupestri tipo Funtana ‘e Amenta di Bonarcado, Cuccuru Corongiu di Genoni e Sa Perda Scritta di Perdaxius;
b) incisioni su massi inseriti in parti a vista dell’apparecchio costruttivo nuragico, come nel nuraghi Succuronis di Macomer o nel Lugherras di Paulilatino;
c) incisioni su massi collocati sulla sommità del nuraghe svettato, come nel nuraghe Serras di Sindia e nel Meringianu di Uras;
d) incisioni su massi che si trovano a poca distanza di nuraghi, come nel caso Santa Cristina di Paulilatino o del Nultaddu di Scano Montiferro.
Nella categoria “a” abbiamo le due serie incisioni di Funtana ‘e Amenta e sa Perda Scritta che si trovano rispettivamente nei pressi di una sorgente e di un ruscello. E la serie di Cuccuru Corongiu realizzata sulla cima di uno sperone roccioso.
Le incisioni di categoria “b” che (come detto si trovano in conci a vista) potrebbero risalire all’epoca nuragica o anche a tempi post-nuragici (un post-nuragico che inizia attorno al 1000 a.C., vedi Manca 1995 e Zedda 2004).
Le incisioni di categoria “c” potrebbero riferirsi a dei tempi post-nuragici se fossero state realizzate quando il nuraghe era già svettato, oppure a tempi nuragici se fossero state realizzate durante la costruzione e poi inserite all’interno dell’apparecchio murario, oppure a tempi prenuragici pensando ad un riutilizzo così come nel caso delle statue menhir inserite nel nuraghe Orrubiu di Laconi o nelle tombe di Giganti di Paule Lutturru di Samugheo o Aiodda di Nurallao. La possibilità che fossero un riutilizzo sembra emergere nel masso con le incisioni presente nel nuraghe Meringianu di Uras, dove accanto ad esso, giacciono, inequivovabilmente riutilizzati, gli spezzoni di menhir neolitici.
Infine, per le incisioni di categoria “d” valgono le stesse considerazioni fatte per le incisioni di categoria “c”.
L’interpretazione cronologica, cioè la collocazione culturale delle incisioni è tutt’altro che semplice,
tenute in conto tutte queste caratteristiche ritengo che la particolare collocazione delle incisioni di caregoria “b” faccia escludere che si tratti di incisioni prenuragiche. Ritengo infatti impossibile che la particolare posizione delle incisioni collocate negli stipiti dei corridoi d’ingresso dei nuraghi possa essersi generata con la mirata collocazione di massi incisi in epoca neolitica o calcolitica.
Siamo dunque in presenza di incisioni che devono essere collocate in un orizzonte culturale nuragico o post-nuragico.
Se fossero nuragiche si dovrebbe pensare che in non pochi casi dei massi incisi venissero inseriti entro la massa muraria per motivi magico religiosi in riferimento a dei rituali di tipo fondativo. Mentre delle altre venivano inserite in punti visibili e soprattutto negli stipiti d’ingresso.
Ovviamente, se le incisioni di categoria “c” fossero state realizzate su nuraghi gia svettati bisognerebbe attribuire l’insieme delle incisioni ad un orizzonte post-nuragico (esempio: la pietra incisa riportata da Danilo Scintu a pag 233 del suo libro: "Le Torri del Cielo" senza una chiara appartenenza).
Come anzidetto la questione oggetto di questo scritto non ha ancora avuto il rilievo che merita. Credo che di incisioni ne esistano molte, molte di più di quelle finora note, il problema sta nel fatto che l’archeologia non le abbia ancora prese in seria considerazione.
Ora, per poter capire meglio, è indispensabile ampliare il corpus documentale, per questo chiunque ne conosca qualcuna è pregato di renderle note.
(Pubblicato su Almanacco Gallurese 2004 – Diritti riservati)