martedì 30 aprile 2013

IPERTENSIONE


Ipertensione arteriosa: mai sottovalutare il nemico invisibile.

L’ipertensione spesso non dà segni di sé.
Ma è spesso determinante nel causare ictus, infarti, aneurismi, deficit cognitivo ed insufficienza renale. Si ritiene che nei paesi occidentali sia alla base, da sola, del 15% dei decessi.

Esiste la terapia medica – una volta che la diagnosi, magari occasionale, sia stata fatta – ma anch’essa è responsabile di effetti collaterali: insonnia, crampi agli arti inferiori, vertigini, altro (negli uomini, alcuni farmaci danno impotenza).

Ma esistono anche altri mezzi per abbassare la pressione sanguigna e quindi scongiurare i pericoli ed i fastidi della malattia e della sua cura.

1)    Lavorare meno, lavorare meglio. Cercare di ridurre un po’ il carico di lavoro e di migliorarne gli orari stessi è una buona soluzione, quando possibile. Un orario di lavoro troppo lungo impedisce di alimentarsi correttamente e di fare un po’ d’esercizio: si calcola che aumenti il rischio cardiovascolare del 15%.

2)    Pazienti ipertesi che facciano ‘passeggiate’ a passo veloce possono ridurre i valori della ‘massima’ di circa 8 punti e quelli della ‘minima’ di circa 6. L’esercizio (che va gradualmente incrementato)  permette al cuore di sfruttare meglio l’ossigeno e quindi di non ‘faticare’ per il proprio lavoro di pompa.

3)    Respirare profondamente. Come in una pratica orientale di meditazione. Bastano 5 minuti al mattino e 5 minuti alla sera, per ridurre sensibilmente gli ormoni dello stress, tra cui la renina, e ridurre i valori pressori.

4)    La pressione è – in alcuni gruppi di età e particolari gruppi etnici – particolarmente sensibile al cloruro di sodio. Limitare l’apporto di sodio non significa solamente usare poco la saliera a tavola (che contribuisce solo al 15% dell’apporto giornaliero di ognuno). Bisogna stare molto attenti al contenuto di sodio dei cibi già pronti. È meglio condire con spezie, erbe, limone e condimenti privi di sale.

5)    Usare cioccolato fondente, almeno al 70%, per sfruttare il contenuto in flavonoidi. Il 18% dei pz vede ridursi la pressione arteriosa, con una piccola somministrazione (28 grammi) di cioccolato ‘nero’.

6)    Usare ‘integratori’ adatti: ad esempio il Coenzima Q10, che riduce la sistolica di circa 17 punti e la diastolica di circa 10. Le dosi variano a seconda dei valori pressori: da 60 a 100 mg, tre volte al dì.

7)    Piccole quantità di alcool aiutano, purché piccole lo siano davvero. Le dosi variano secondo il peso corporeo ed il sesso. Un quarto di litro di birra, un bicchiere di vino, un quinto di bicchiere di superalcolico.

8)    È meglio evitare la caffeina (può determinare un aumento persistente, fino a 4 punti - 4mm di Hg della pressione): è quindi preferibile usare caffé decaffeinato.

9)    Sarebbe addirittura preferibile iniziare a consumare  tè di ibisco (‘carcadé’), che riesce in media ad abbassare di 6 punti la pressione in circa un mese e mezzo.

10) Il potassio (K) è un ottimo elettrolito per fare scendere la pressione: si dovrebbe mirare ad un’assunzione tra i 2000 ed i 4000 mg al dì (patate dolci, pomodori, succo d’arancia, banane, meloni, prugne secche, uva passa, piselli, frutta secca).

11) Ascoltare la musica giusta, per 30 minuti al giorno: Classica, Celtica, Indiana. L’effetto sarebbe sommatoria: dopo una settimana, giù di 3,2 punti; dopo cinque settimane 4,4.

12) Fare un check up per il russamento notturno: l’apnea ostruttiva notturna è spesso associata ad un iperaldosteronismo che è responsabile dell’ipertensione.

13) Nell’ipertensione e negli stati pre ipertendivi, l’uso di cibi ad alto contenuto in soia o in proteine del latte, (latticini a basso contenuto di grassi)  può ridurre la pressione efficacemente.

De Palma, Origine degli Etruschi










LA TEORIA DELL’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI
( di Franca Raggi )

   Il prof. Claudio de Palma ha dedicato anni e anni di studio  al tema dell’origine egeo-anatolica  del popolo etrusco  ed è riuscito  a dimostrare la validità di questa tesi, mettendo al centro del suo lavoro lo studio linguistico e storico di un documento famosissimo scoperto nell’isola di Lemno nel 1884, incontrando il plauso di grandi accademici europei, come il prof. Adrados [1] e il prof. Briquel [2]. Chi scrive ha vissuto (come moglie) e collaborato col prof. De Palma e sostiene fermamente la validità del suo lavoro, basandosi anche sulla conoscenza psico-sociale della cultura egeo anatolica da un lato ed etrusca dall’altro.  L’isola di Lemno è situata nell’angolo nord-orientale dell’Egeo, di fronte all’imboccatura dei Dardanelli, l’Ellesponto dei Greci, o porta del Mar Nero (il Ponto Eusino o ‘mare oscuro’ ). .  L’isola, era in posizione strategica sulla via dei metalli provenienti dalla zona pontica, e conobbe una fioritura precocissima fin dal quarto millennio a. C. per la lavorazione dei metalli.[3]

[1] Vedi recensione prof. Adrados in Emerita, resena de libros II, su “Le origini degli Etruschi” di Claudio de Palma ed. Nuova S1
[2] Vedi recensione prof. Briquel in Revue des ètudes latines ,riportata nel sito www.claudiodepalma.it
[3]La nascita e la diffusione della metallurgia nelle società antiche è dunque accompagnata dal diffondersi di miti, la divinità che presiede la metallurgia è Efesto. L’arte di creare utensili dalla materia minerale grezza è considerata dagli antichi prerogativa divina e viene associata alla sfera sovrannaturale e religiosa. L’introduzione dei metalli portò anche ad una profonda modificazione dell’assetto sociale perché oltre a garantire un aumento della produzione alimentare e della ricchezza  ebbe anche lo scopo di potenziare i mezzi di difesa e di offesa della società. (nota di chi scrive)
Alcuni esempi di lavorazione dei metalli (fig:-a-b-c)

a) - Elmo Etrusco, da Populonia.
c) - Flabello in bronzo decorato a sbalzo da Populonia, necropoli di Porcareccia, tomba dei Flabelli VII sec.a.C.


b) - Concrezioni di oggetti in ferro da rifondere.

L’isola raggiunse notorietà negli studi archeologici europei a seguito della scoperta nel 1884 da parte di due ricercatori francesi, il Cousin e il Durrbach, di  una stele iscritta, quasi integra,  misurante cm. 95 x 40.  La faccia reca il disegno di profilo di un uomo anziano armato di lancia foliata e di scudo rotondo,  con tutto intorno un’iscrizione in caratteri greci.  Nello spessore laterale della pietra, poi, è una seconda iscrizione, con andamento bustrofedico, sempre in alfabeto greco di tipo euboico od occidentale (indicato dai linguisti come ‘rosso’, in contrapposizione a quello attico o ‘azzurro’).   Il prof. De Palma  ha dato una  importantissima traduzione di questa stele scritta, oltre alla lettura di altri documenti tirrenici trovati anche recentemente a Lemno, a partire dal 1999.
L’acquisizione più importante che deriva dalla decifrazione è sul piano storico la notizia ‘autentica’ che tutta l’isola di Lemno era nel VI secolo ‘Paese dei Tirreni’:  serona toveronarom,  a conferma di quanto scrive Erodoto (VI, 140)  e che ambedue le città lemnie, Efestia e Myrina, erano città tirrene, e questo è documentato sul piano archeologico anche dagli scavi condotti dagli italiani ad Efestia, iniziati nel 1926, che continuano ancor oggi, e da quelli greci a Myrina, iniziati in anni  più recenti.

Agiografo della Stele di Kaminia.
Il Prof C. De Palma, affianco alla Stele di Kaminia (foto Franca Raggi).



La decifrazione della stele [4] trova proprio nel sintagma serona toveronarom il punto focale in quanto viene dimostrato che si debba intendere come "il paese dei Tirreni"
 Esso potrebbe rappresentare l'anello di congiunzione diacronico e geografico della civiltà tirrenica sviluppatasi nell'ambito del mare Mediterraneo a partire dal terzo millennio a.C. con l'antica Età del Bronzo, fino a raggiungere la metà del primo millennio, con la caduta degli stati indipendenti tirrenici dell'Iberia e dell'Asia. Dunque per risalire all’origine degli etruschi bisogna trattare dei Tirreni che furono prima di loro e che vissero sulle coste e sulle isole del lontano egeo nord-orientale., nella zona chiamata Anatolia ,che coincide più o meno con l’attuale Turchia.  I Tirreni erano insediati fin dalle origini del popolamento nella zona dell’Anatolia occidentale. Erano maestri nel trattare i metalli, abili nel navigare ed esperti del lavoro agricolo.  I popoli che abitavano l’Anatolia sudoccidentale chiamavano sé stessi Rasenna ,mentre gli abitanti dell’Anatolia nordoccidentale si definivano Turranoi. Vediamo tanti e importanti ritrovamenti in quest’isola che ci parlano del popolo tirreno: sulla costa orientale dell’isola un grande archeologo italiano , Bernabò Brea scavò  Poliochni, la prima città europea che già agli albori del terzo millennio contava una superficie di 140 ettari, quasi il quadruplo di quella della contemporanea rocca di Troia, e pari a quella che raggiungeranno città come  Caere e  Tarquinia in Etruria. La sua popolazione può essere stimata in circa 1400 persone. Troviamo in questa città la prova certa della  sua vocazione metallurgica che è esemplificata dal ritrovamento di un’ascia a cannone di bronzo e della forma fittile per fusione a cera persa usata per fondere questa classe di strumenti, rinvenute in strati databili al 3000 circa a.C., agli albori cioè dell’Età del Bronzo.  

Sarcofago delle Amazzoni - Tarquinia, IV secolo a.C.
Achille che uccide Pentesilea, V sec A.C.
  

Sulla costa nord di Lemno veniva invece scavata e messa in luce dal Della Seta la città di Efestia, il cui nome tirrenico era Evistho, come ci dice la stele di Kaminia .  Si trattava di una grande città cinta di mura, che visse almeno dall’VIII secolo a.C. fino in età bizantina. Molte iscrizioni in lingua tirrenica provengono appunto da Efestia. Queste iscrizioni, unitamente a quelle rinvenute nel santuario dei Cabiri e nell’altra grande città lemnia, Myrina, posta sulla costa occidentale dell’isola, e alla grande iscrizione della stele di Kaminia, testimoniano della presenza su tutta la superficie dell’isola di una popolazione di lingua tirrenica fin al VII -VI secolo almeno.   Ma dopo che abbiamo visto  come la metallurgia fosse  un’importante connotazione del popolo tirreno cerchiamo   sempre a Lemno un altro argomento che ci farà trovare altre corrispondenze tra etruschi e tirreni: Una caratteristica che distingue da ogni altra la necropoli di Efestia è la presenza di numerose armi in corredi sia maschili, sia femminili, e fra le armi la tipologia più diffusa è quella delle asce da combattimento, simili a quella rappresentata sulla stele funeraria di Avle Feluske a Vetulonia (VII secolo) o su un avorio da Enkomi (Cipro), del XII secolo, rappresentante un guerriero tirreno.

Muro di Gortina.
Particolare del muro interno dell'ekklesiastèrion (luogo di riunione dell'assemblea cittadina) di età classica a Gòrtyna, che reca inciso il testo delle leggi della città, datato al V secolo a.C. e pubblicato dall'archeologo italiano Federico Halbherr a Firenze nel 188 5. Viene soprannominata 'la Grande Iscrizione' e consiste in 12 righe in scrittura e lingua greca arcaita in andamento bustrofedico, più forse altre otto andate perdute, di contenuto giuridico. Si tratta di un corpus di leggi cheraccolgono consuetudini antichissime del mondo minoico ed egeo-anatolico più in generale, riguardanti rapporti familiari, patrimoniali, sociali e di diritto penale, quali proclamazione della libertà o della schiavitù, offese corporali, beni delle donne divorziate o vedove, eredità paterna o materna, figlie ereditiere, figli adottivi

La presenza di armi anche in cinerari con corredi femminili , riconoscibili non solo dai monili, presenti in verità anche in molte tombe maschili, ma inequivocabilmente dalle fuseruole e dai pesi da telaio relativi a un’attività, la tessitura, esclusiva delle donne in tutte le società antiche, fa pensare alla presenza nella società tirrenica di donne-soldato, e vengono alla mente le mitiche amazzoni, dall’antico persiano ha-maza, cioè ‘guerriero’, ben rappresentate nella mitologia greca dalle regine di Lemno,  Myrina e Hipsipyle, nonché da Pentesilea, uccisa da Achille davanti alle mura di Troia. .Dunque se in tombe di donne dell’isola di Lemno si trovano armi come non pensare alle tombe di donne etrusche dove pure si ritrova un corredo simile? Basta citare la tomba della Principessa,nel  Lazio proto-etrusco, dove è presente anche un carro da guerra,inoltre in molte tombe tarquiniesi sono state trovate armi in tombe femminili esattamente come nella necropoli tirrenica di Efestia, a Lemno.  Chi non penserebbe alle donne-soldato dell’Anatolia protostorica?   

  

Questi dati archeologici, uniti alla tradizione letteraria, tracciano una linea continua che parte dall’Asia Minore per raggiungere l’Etruria, paese dove le donne, non diversamente da quelle lidie, godevano di una tale indipendenza da farle considerare da Greci e Romani poco meno che donne di malaffare. ( fig.2)
 Così nel quadro familiare in Etruria la donna godeva della stessa autorità dell’uomo, non era soggetta al volere del padre prima e del marito poi, aveva un proprio prenome e un proprio gentilizio, e i suoi figli venivano chiamati col loro prenome più il patronimico e il gentilizio paterno, e anche il matronimico e il gentilizio materno.  Ad esempio: vel tulumnes  larthal clan pumplialkh velas: vel tolumnio figlio di larth e di vela pumplia. Una importantissima documentazione epigrafica a riprova di quanto detto ci è data dal codice di Gortyna, città dell’isola di Creta, che fu inciso nella parete interna dell’esedra dell’ekklesiasterion costruita in pietre squadrate nel foro della città nel V secolo a.c.. Si tratta di una grande parete semicircolare tuttora visibile.
  
Il codice contiene la codificazione in disposizioni di legge, promulgate dall’autorità cittadina, di antiche consuetudini giuridiche comuni a tuatta l’area egeo arcaica della quale vanno cercate le radici nelle primitive culture dell’area egea ed anatolica occidentale.

Rotte del Mediterraneo (cabotaggio).

Le disposizioni concernenti la capacità della donna di ereditare e di trasmettere proprietà per via ereditaria, sono indicative di una comune visione  della società arcaica preindoeuropea nella quale la donna aveva in ogni campo uguali diritti degli uomini. Anche nel campo patrimoniale, dunque.Il Codice di Gortyna sancisce e codifica l’antica consuetudine secondo la quale la donna rimasta vedova con figli può risposarsi, restando nel possesso di ciò che le appartiene e delle donazioni fattele dal marito defunto. Le stesse disposizioni si applicavano nel caso di donna divorziata [5].  Ma cerchiamo anche punti di affinità culturale in altri campi. Importantissimo è quello sessuale: l'iconografia etrusca, come quella romana di età imperiale, ben attestata dagli affreschi pompeiani, ci mostra scene di natura erotica tra etero ed omosessuali, analogamente a quanto vediamo nella pittura greca su ceramica. Analizzando le raffigurazioni che sono arrivate a noi scopriamo forti differenze. Nelle rappresentazioni etrusche ciò che è profondamente diverso è l'atmosfera che circonda e anima l'agire e il pensare degli Etruschi in ogni momento del loro tempo libero, dal piacere dello slanciarsi corpo e anima nella danza del tripudium, come nella coppia tarquiniese dalla tomba delle Leonesse, ai piaceri della mensa, dove uomini e donne mangiano e bevono sdraiati sulla kline uno accanto all'altra (e non necessariamente si trattava di coppie maritali) fino all'immagine della coppia che affronta la morte abbracciata, viso contro viso, corpo contro corpo, nudi sotto un lenzuolo trasparente.  
Itinerario di Tirreno - itinerario ricostruito sul viaggio della flotta di Tirreno dall’Anatolia all’Etruria. Dal libro 'Sotto il segno di Turan'. Immagine e grafica di Franca Raggi
Allora questa parità di diritti dal campo militare a quello sessuale, da quello familiare a quello giuridico ci riporta ad una situazione di   tipo matriarcale preindoeuropeo (vedi più avanti la Gimbutas),che si è evoluta verso la parità di diritto tra uomo e donna. Questa è un’ulteriore prova del legame del popolo etrusco con  una cultura di origine egeo-anatolica risalente al mondo arcaico ed oltre…
Una grande studiosa, M.Gimbutas, ha definito la civiltà dell’Europa neolitica come il mondo della Dea Madre o della Grande Dea.
Queste civiltà ,secondo la Gmibutas,avrebbero avuto lingue non indoeuropee e sarebbero state connotate da una cultura di tipo matriarcale. Successivamente gli indoeuropei avrebbero sopraffatto il sostrato neolitico paleoeuropeo, sovrapponendo culture di tipo patriarcale. [6]
Le caratteristiche di fondo della società etrusca che nasceva matriarcale non sono state messe in risalto come meritavano. Oppure si può dire che si volevano ignorare per restare vicini al concetto di  femminilità proprio dei romani. [7] La grande dea madre terra dei Tirreni era Turan, Il nome di Turan era noto anche agli Egizi, che chiamavano i Tirreni ‘Tursha’, e troviamo mercanti tirreni sepolti nel Fayyum egizio fin dall’epoca di Sethi I.[8]  .
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Facciamo il punto della situazione, abbiamo messo insieme  alcune  informazioni basilari  riguardo a:
- La lingua. l’etrusco-arcaico scritto e parlato in tutta l’isola
- Il popolo tirreno che abitava Lemno
- La metallurgia che era esercitata a Lemno
- La figura della donna nell’ area egeo-anatolica

Possiamo dire di avere trovato un grande riscontro e un’altissima affinità tra Tirreni ed etnos etrusco.
Furono i Tirreni a diffondere dall' Anatolia all' Iberia i substrati di una lingua, di una tecnica mineraria ed agricola comune, in molti casi anche la scrittura. Tanto che non ha più senso domandarsi se gli Etruschi vennero da chissà dove o piuttosto furono indigeni dell' Italia centrale. Semplicemente, la loro cultura arrivò dai Tirreni. Così che numerose civiltà, a cominciare da quella etrusca, vanno ricollegate alla loro. Così come accadde per i Filistei, o per i sardi[9].
Adesso vediamo come e perché questo popolo tirreno si sia potuto spostare dall’oriente verso l’Italia .I1 regno di Arzawa, come era chiamato il regno dei tirreni in Anatolia, aveva impedito per parecchi secoli all’ímpero di Hatti di raggiungere il mare verso ovest [10],fino a tutto il XIV secolo a.c.,quando, a seguito di una guerra lunga e sanguinosa, combattuta con alterne vicende, esso divenne uno stato vassallo di quello.[11]
La situazione peggiorò molto nel XIII secolo, il  Paese di Arzawa mostrava sempre più segni di indebolimento, non tanto a causa della crescente pressione da est del nemico di sempre, gli Ittiti, quanto per le tribù seminomadi che raggiungevano l’Anatolia occidentale attraverso­ l’Ellesponto e il Bosforo, e seguendo una strada parallela alla costa, da nord verso sud, devastavano le regioni più fertili del Paese, provocando distruzione di raccolti, carestia e fame. Questo è il motivo per cui un pò alla volta, spinti probabilmente dalle invasioni dei Traci e degli Illiri, furono costretti ad imbarcarsi e a ricercare nuove terre  

Coppia di danzatori -Tarquinia, tomba delle leonesse, VI sec.a.c.          
Banchetto-Larth Velkha e la sua sposa seduti a banchetto, dalla tomba degli scudi,III sec a.C.          

Attraverso lo studio dei toponimi - che nel linguaggio sono una delle realtà più affidabili perché meno soggette a modifiche - li ritroviamo anche nella terra dei Filistei, l'odierna Israele, vengono poi a contatto con gli egiziani, superarono lo stretto di Messina e arrivano alle Eolie.
In conseguenza della configurazione geografica della nostra penisola, fin dal Neolitico  le rotte consuete dall’Oriente verso l’Italia, anche per la direzione delle correnti e  per la conformazione particolare della penisola, videro preferire la navigazione di cabotaggio lungo le sponde orientali dell’Adriatico con traversata del canale d’Otranto o più a nord al Gargano col ponte delle isole Trèmiti, o più a nord  ancora al Cònero. La rotta più meridionale raggiungeva  direttamente Otranto o il capo di Leuca in Puglia..
Le prime rotte dall’oriente verso l’Italia fino ad arrivare al mare Tirreno toccavano dapprima la penisola  Salentina nota già agli antichi naviganti come leucopetrai tarentinorum. Il nome rimasto è  quello di S. Maria di Leuca. Di qui si costeggiava il golfo di Taranto, le coste lucane e poi càlabre, fino allo Stretto di Sicilia. Invece la rotta attraverso il mare Jonio, più ampio , venne affrontato alquanto più tardi, con rotte dirette dalla Grecia alla Calabria e alla Sicilia, che miravano sempre e sopratutto allo stretto di Messina e, al di là di esso al mare Tirreno e alle sue ricchezze minerarie, note da tempo immemorabile.  A causa delle condizioni difficili del mare sullo Stretto, tuttavia, simboleggiate nel mito dai mostri Scilla e Cariddi, molti naviganti preferivano la rotta più lunga, che costeggiava l’intera Trinacria o Sikelìa  e di qui per le isole Eolie raggiungeva la costa tirrenica della penisola.
I tirreni possono aver seguito in ondate successive alcune di queste rotte  spinti dalla necessità di lasciare le loro terre  sotto la spinta di invasioni che ostacolavano l’approvvigionamento dei minerali di cui avevano bisogno e che minacciavano la loro stessa vita.
Perché l’Etruria? "Cercano metalli - sostiene il professor De Palma - quindi eccoli nell' Italia centrale, e poi in Sardegna dove  trovano lo stagno, indispensabile, fuso con il rame, per ottenere il preziosissimo bronzo..”Si sposteranno poi attraverso il “ponte” formato da Corsica Elba fino nella futura Etruria.Analizzando il percorso seguito si può trovare un’altra  indicazione e conferma del perché volessero  proprio andare in Etruria.Nel loro lungo e si può immaginare difficile e disagevole viaggio si sono dovuti fermare  infinite volte sulla costa dell’Italia meridionale ed erano zone bellissime, pochissimo popolate, attraversate da corsi d’acqua con terreni anche pianeggianti adatte dunque a stabilirvi degli insediamenti. Come avverrà secoli dopo con la colonizzazione  della Magna Grecia..Ma i Tirreni proseguirono perché per loro era prioritario  raggiungere le miniere di ferro già conosciute dell’Esperia.
Infatti l’itinerario marittimo divenne preponderante a partire dall’Eneolitico, quando venne seguito dai cercatori di metalli diretti alle coste tirreniche centro-settentrionali. La rotta marittima infatti era sempre la più sicura e anche la più veloce, e permetteva carichi ben maggiori di quelli delle carovane di muli .Questa è dunque la rotta con più probabilità seguita dalla maggior parte dei  Tirreni . Si deve quindi immaginare, dal 4 millennio a.C., mille anni prima che arrivassero i popoli indoeropei, una civiltà dominante : ha enormi capacità tecniche, e un po' alla volta si impone in tutta l'area del Mediterraneo sino a formare "il paese", anzi "il regno dei Tirreni”.


[1] Vedi recensione prof. Adrados in Emerita, resena de libros II, su “Le origini degli Etruschi” di Claudio de Palma ed. Nuova S1
[2] Vedi recensione prof. Briquel in Revue des ètudes latines ,riportata nel sito www.claudiodepalma.it
[3] La nascita e la diffusione della metallurgia nelle società antiche è dunque accompagnata dal diffondersi di miti, la divinità che presiede la metallurgia è Efesto. L’arte di creare utensili dalla materia minerale grezza è considerata dagli antichi prerogativa divina e viene associata alla sfera sovrannaturale e religiosa. L’introduzione dei metalli portò anche ad una profonda modificazione dell’assetto sociale perché oltre a garantire un aumento della produzione alimentare e della ricchezza  ebbe anche lo scopo di potenziare i mezzi di difesa e di offesa della società. (nota di chi scrive)

[4] Il Paese dei Tirreni, Claudio de Palma,ed Nuova S1 Bologna
[5] A.L.Di Lello Finuoli” Trasmissione della proprietà per successione ereditaria femminile” in “La transizione dal miceneo all’alto arcaismo” edizioni CNR Roma 1991
[6] Gimbutas M. The language of the Goddess: unearthing the hidden symbols of Western Civilisation, Harper &Row,S.Francisco 1989
[7] Secondo chi scrive l’archeologia  da sola come disciplina non riesce a mettere insieme tutti gli indizi necessari a connotare la cultura di  una civiltà antica .
[8] “Sotto il segno di Turan” Claudio de Palma –Franca Raggi ed. Nuova S1, bologna 2005
[9] M.Pittau Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi, Delfino-Sassari 1995
[10] Più a lungo restarono nelle isole come Lemno, Imbros e Tenedos,come si può vedere dalla stessa stele di Kaminia che risale al VII a.C, vedi Il Paese dei Tirreni di Claudio de Palma
[11]  Le campagne militari dei re ittiti contro i re di Arzawa e i loro alleati  sono raccontate, spesso con descrizioni vivaci, negli Annali conservati nella grande biblioteca del palazzo reale ittita nella capitale Hattusa, a est di Ankara, scavi che hanno restituito una città con palazzi e templi fra i più grandiosi di tutti i tempi.


lunedì 29 aprile 2013

Il Vello d'Oro










Agnello transgenico.

Questi animali, se esposti a luce ultravioletta in determinate condizioni, assumono un colore verde fluorescente.
Creati in Uruguay per opera del dottor Alejo Menchaca dell'Instituto de Reproducción Animal Uruguay (Irauy), hanno il compito di curare varie malattie in tutto il mondo a costi bassissimi. (Foto ansa)

Questa la notizia - piuttosto asciutta - data dalle agenzie. Lascia presagire scenari ottimistici e rosei per tutta l'umanità: ma non spiega alcunché. di che cosa si tratta?

- Un passo importante per l’umanità?
- Una boutade di primavera, reminiscente dell'antico Mito del Vello D’Oro?
- Una pericolosa improvvisazione erratica della ricerca scientifica?

Le perplessità sono inevitabili, dopo aver letto la notizia, dall’Uruguay, di nove agnelli geneticamente modificati che diventano fluorescenti se esposti a luce ultravioletta.


Il precedente di Dolly. 
A poco più di 30 anni dal primo caso di topo transgenico, ottenuto nel laboratorio degli scienziati R.D. Palmiter e R.I. Brinster nel 1982, e a 17 anni dalla pecora Dolly, il primo mammifero clonato con (parziale) successo da una cellula somatica, l’opinione pubblica torna a interrogarsi (senza averne affatto le basi) sull’utilità e le conseguenze di questo tipo di esperimenti.

La vicenda. 
L’effetto senza dubbio abbagliante degli agnelli fluorescenti è stato ottenuto all’Instituto de Reproduccion Animal dell’Uruguay (Irauy) grazie ad un lavoro sul codice genetico degli agnelli. Il Dna degli animali, nati lo scorso ottobre, infatti, contiene un gene, incorporato nei loro embrioni, responsabile della produzione di una proteina fluorescente verde, appartenentealla medusa Aequorea victoria.

Esperimento riuscito, dice la stampa: ma per il momento, l'unica cosa accertata è che potremmo avere costolette di agnello da mangiare anche al buio. 

Gli agnelli sono cresciuti normalmente, ma con la loro particolare caratteristica. Il team sudamericano, guidato dal dottor Alejo Menchaca, presidente dell’Instituto de Reproduccion Animal dell’Uruguay, sta valutando la possibilità di studiare l’innesto di un gene che produca proteine specifiche. Perché?


L’obiettivo. 
Gli agnelli transgenici fluorescenti sarebbero solo il primo passo di traguardi ben più ambiziosi: curare varie malattie umane a costi bassissimi e produrre latte dotato di sostanze di interesse farmaceutico. “Si sceglie un gene di particolare interesse (come potrebbe ad esempio essere quello responsabile della produzione dell'ormone della crescita negli esseri umani) – spiega Menchaca - si inserisce in un embrione di una mucca, di una pecora o di una capra, e questo animale lo incorpora nel suo Dna. In futuro, questo animale produrrà nel latte l’ormone della crescita, Il GH”.

L'esempio lo ha scelto lui, per la Stampa.

Nota: è dimostrato che l’ormone della crescita, oltre a favorire la crescita di tutto l’organismo, ha la proprietà di slatentizzare il carcinoma in situ e renderlo più attivo: quando l’uomo desidera sostituirsi a Dio, è bene che sappia assumersene , oltre a i meriti, anche tutte le responsabilità dirette ed indirette).


Latte transgenico. Non è la prima volta che gli agnelli transgenici sono protagonisti della cronaca scientifica. Già nel 2000, in Scozia, l’istituto Roslin della Ppl Therapeutics, che già aveva dato i natali alla pecora Dolly, aveva reso due agnelli in grado di produrre latte arricchito di sostanze medicinali. In quella circostanza il Dna dei due esemplari era stato cambiato in modo mirato prima di essere inserito all’interno dell’ovocita. I ricercatori avevano prima prelevato una cellula da una pecora adulta, poi immesso una particolare sequenza di informazioni genetiche all’interno di una specifica regione del cromosoma. La cellula così modificata era stata quindi inserita all’interno di un ovulo prelevato da un’altra pecora, precedentemente privata del nucleo. Un risultato perfettamente riuscito dal punto di vista transgenico. Ma anch’esso ancora da perfezionare.

Dolly.
Dolly è stata uccisa dai suoi creatori, prima che morisse di gravi malattie respiratorie determinate dalla metodica stessa della clonazione. La metodica di clonazione è senza dubbio interessante, ma sfrutta cellule già ‘invecchiate’ e quindi non è affatto perfetta. 
Non può ancora essere usata ‘con successo’, come riferiscono le fonti giornalistiche trionfanti, dando della realtà scientifica un'impressione completamente errata.

domenica 28 aprile 2013

Promesse, promesse...


Era un'ottima notizia.

I lavori erano dati per iniziati. Si adombrava la futura fattibilità di alcuni reboanti lavori d'ingegneria idraulica (il 'raddoppio' del Nilo) e altre strabilianti opere dello stesso genere (l'acqua al Sinai con un canale sotto Suez!), che avrebbero fatto impallidire i mastodontici lavori per la grande diga di Assuan.
Si parlava di El Kattara in Egitto, del Canale di Jongley in Sudan, di un'altra diga favolistica ed enorme, che avrebbe dato enormi impulsi di civiltà al deserto, trasformato in un giardino e donando ricchezza economica all'antico paese nel deserto. Andammo tutti a cercare sulle mappe i posti citati, con i loro strani nomi...
Era il 1997, in un mese di marzo.
Oggi, gli uomini politici i cui nomi compaiono quest'articolo sono alcuni deceduti (Muhammar Gheddafi), altri in carcere (Hosni Mubarak), altri chissà. 
Ma l'acqua continua - laggiù - ad essere più costosa del petrolio. 

Si trattava di promesse, solamente di promesse ...



CORRIERE SCIENZA. INIZIATI I LAVORI PER LA COSTRUZIONE DI UN CANALE LUNGO 1400 CHILOMETRI CHE PORTERA' L' ACQUA IN TERRITORI ARIDI

Un Nilo bis scorrera' nel deserto



- Iniziati i lavori per la costruzione di un canale lungo 1400 chilometri che porterà l'acqua in territori aridi.
Un Nilo bis scorrera' nel deserto Dicono che e' "il nuovo Nilo", "il progetto del secolo", l'opera destinata a oscurare tutte quelle realizzate finora in Egitto, anche le piu' colossali: magari non le piramidi, ma sicuramente, per fare un esempio, la diga di Assuan.
La diga regola il corso del fiume che traversa il Paese da un capo all'altro, e il suo bacino e' il piu' grande lago artificiale esistente. Ma l'impresa alla quale gli egiziani si accingono ha uno scopo assai piu' ambizioso: dirottare parte delle acque del Nilo dal Lago Nasser, per portarle attraverso il deserto verso nord, fino alla depressione del Kattara, e di qui, un giorno, fino al
La depressione di El Qattara (in azzurro)
 Mediterraneo, tra Alessandria e Marsa Matruk. In questo modo diventeranno fertili terre dove adesso un ambiente arido e ostile rende pressoche' impossibili gli insediamenti umani. Erodoto defini' l'Egitto "un dono del Nilo", perche' e' lungo il fiume, nelle terre fecondate dalle sue acque, che si e' sempre concentrata la vita, dai tempi remoti dei faraoni. Nulla e' cambiato nel corso dei millenni. In un Paese grande oltre tre volte l'Italia, appena 40 mila chilometri quadrati (circa come la Sicilia) sono abitabili; ed e' qui, in questa striscia di terra che Napoleone chiamava "l'Egitto usabile", che si stipano 60 milioni di persone, un quarto delle quali al Cairo, una delle metropoli piu' congestionate del mondo.
La situazione idrologica globale di Egitto, Sudan, Congo, Tanzania, Kenia ed Etiopia.
 "Oggi per noi comincia una nuova era, quella che ci consentira' di affrancarci dalla prigionia della valle del Nilo", ha detto il presidente Mubarak inaugurando i lavori per la costruzione del primo tratto del Canale, 320 chilometri dal Lago Nasser alle oasi di Baris ed el - Kharga. Ci vorranno tre anni per completarlo, ma questo non e' che l'inizio di una sfida irta di difficolta'. Come quando si arrivera' alla depressione di Al Kattara, 137 metri piu' bassa della superficie marina, un dislivello che i progettisti pensano di sfruttare costruendo una gigantesca diga e una centrale elettrica in grado di produrre energia per 10 miliardi di kilowattore l'anno, e di coprire, assieme a quella di Assuan, meta' del fabbisogno del Paese. In questa parte del mondo, come ha detto una volta il leader libico Muammar Gheddafi, "l'acqua e' piu' preziosa del petrolio". Per sfruttarla in condizioni cosi' difficili bisogna superare ostacoli enormi, non solo tecnici.
Il primo e' l'impegno finanziario. Ne sa qualcosa proprio Gheddafi, che per il "grande fiume creato dall'uomo" in Libia, cioe' il sistema di condutture dalle falde sotterranee del Sud alle citta' della costa, attraverso mille e seicento chilometri di deserto, ha speso, si dice, 25 miliardi di dollari.
Il secondo ostacolo e' rappresentato dai fattori di incertezza in una regione scossa da molti conflitti. Cosi' i governi interessati hanno sempre finito con l'accantonare i grandi progetti.
In Sudan langue quello, ambiziosissimo, del Canale di Jongley. Recuperando miliardi di metri cubi di acqua del Nilo che ora evapora o si disperde, si mira a bonificare e popolare una grande area paludosa. Da quelle parti infuria pero' la rivolta delle tribu' separatiste del Sud, a Karthoum la crisi economica e' profonda, sicche' i lavori, avviati sotto la guida di tecnici francesi, non fanno progressi. Lo stato di guerra nel Medio Oriente ha fermato per anni anche il progetto per la costruzione di un canale dal Golfo di Aqaba al Mar Morto: dovrebbe correre per 220 chilometri lungo il confine meridionale tra la Giordania e Israele, una zona troppo "calda" fino a poco tempo fa. Ora che la situazione e' migliorata se ne ricomincia a parlare, ma la trattativa non e' facile.
Chi non ha perso tempo e' l'Egitto, che sta lavorando anche per portare acqua del Nilo (ancora il ricco, eterno Nilo) nel Sinai. Qui ci sono memorie storiche, il petrolio (la concessionaria e' da lungo tempo l'Agip), i segni delle molte battaglie che vi si sono combattute. Cio' che scarseggia e' l'acqua, ma presto ci arrivera', passando sotto l'istmo di Suez, grazie a un canale di 242 chilometri che prelevera' acqua da un ramo del delta. Cosi' il Sinai, uno "scatolone di sabbia", potra' avviare la sua piccola rivoluzione agricola e industriale. Il canale, con tutto il sistema di pompe, derivazioni, centrali di controllo, e' gia' in costruzione. Per l'Egitto si tratta di un atto di fiducia nell'avvenire, non per nulla lo hanno chiamato Al - Salam, pace; ed e' una specie di prova generale per l'impresa ben piu' spettacolare e grandiosa nella quale si sono adesso lanciati con la realizzazione del "nuovo Nilo". Il ministro dei Lavori pubblici, Abdel - Hadi Radi, ne parla con entusiasmo: "Si tratta di un'opera di ingegneria idrica senza precedenti. Ci impegnera' per i prossimi dieci, forse venti anni. Ma quando sara' finita, tutto il territorio tra i due fiumi - voglio dire il Nilo e il suo gemello - sara' completamente trasformato. Sono quasi un milione e mezzo di ettari che i nostri "fellahin" coltiveranno con la loro antica perizia, e dove e' prevista la nascita di citta', villaggi, centri industriali". Se tutto va bene, l'Egitto "usabile" si moltiplichera', come in una magia di clonazione naturale. Il Nilo, che lo ha nutrito per settemila anni, sta facendo l'ultimo miracolo?
- NO.

Articolo di: Josca Giuseppe
Pagina 27
(23 marzo 1997) - Corriere della Sera